L’area archeologica della Villa Romana di Lavello, nota come “Casa del Diavolo”, è uno straordinario esempio di villa rustica di epoca romana. Situata su una collinetta a circa 200 metri sul livello del mare, immersa in un paesaggio suggestivo punteggiato da ulivi, si trova nella contrada San Francesco, tra i corsi d’acqua Olivento, Ofanto e il Monte Vulture. L’intera area, di proprietà del Comune di Lavello, è tutelata dalla Soprintendenza Archeologica per la Basilicata.
I resti evidenziano almeno tre fasi costruttive, dal I secolo a.C. all’epoca tardoantica (IV-VI secolo d.C.), con un’evoluzione architettonica significativa. Tra le strutture principali spicca un impianto termale, che conserva ambienti come il calidarium e il frigidarium, oltre a mosaici e pavimenti in opus spicatum. Nell’angolo nord-ovest è visibile un forno per il riscaldamento dell’acqua con una cisterna annessa. Un ambiente voltato in laterizi è rimasto intatto, probabilmente connesso all’impianto delle terme. Nel IV-V secolo d.C., parte della struttura termale fu riadattata in un impianto per la colorazione dei tessuti (fullonica).
Il nome “Casa del Diavolo” risale all’epoca medievale, ispirato dalla colorazione rossa dei laterizi e dagli effetti luminosi al tramonto che creavano l’illusione di fiamme nei ruderi. Sebbene l’esatta appartenenza della villa resti ignota, un’epigrafe latina rinvenuta nelle vicinanze suggerisce che fosse di proprietà della famiglia venosina dei Seppii, un’importante gens con membri nel senato romano. Durante il Medioevo, la villa fu riutilizzata come luogo di culto cristiano, indicato nei catasti come “Chiesa Diruta”. In seguito abbandonata, rimane un sito di grande interesse per la sua posizione isolata e dominante sulla piana del Melfese.
Le prime esplorazioni sistematiche risalgono agli inizi degli anni Duemila, con lavori di messa in sicurezza delle strutture visibili e scavi volti a riportare alla luce il patrimonio sommerso. Interventi di indagine del 1998 avevano confermato l’estensione del complesso, stimata in almeno 40×50 metri, con un’area probabilmente più ampia. Il ritrovamento di cocci, doli e olle con base a punta suggerisce la presenza di una fattoria romana appartenente a una famiglia abbiente.